Quelli sul palco Ricordando Jannacci

di Cristina Giordano

Cantava la Milano della gente comune, mescolando ad arte la canzone popolare al cabaret. Per suo figlio Paolo era un amico, tanto che ha imparato a chiamarlo "papà" solo dopo la sua morte.


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Enzo Jannacci

Il 29 marzo 2013 moriva uno dei simboli più autentici di Milano, che oggi (3 giugno) avrebbe compiuto 80 anni. Classe 1935, Jannacci cresce in una famiglia modesta senza mai dimenticare le sue origini e restando sempre dalla parte dei più deboli. È questo, forse, che lo ha reso indimenticabile. Il cantautore-medico ha messo in musica storie di operai ("Prendeva il treno per non essere da meno" e "Vincenzina e la fabbrica"), o di senzatetto che "rincorrevan sogni d'amor" ("El portava i scarp del tennis"). Mescolava ad arte la canzone popolare e il cabaret, e anche nei pezzi più malinconici era capace di strappare sempre un sorriso. Alcuni dei suoi versi sono entrati a pieno titolo tra i modi di dire della lingua italiana, come l'intramontabile "Vengo anch'io, no tu no". Nel servizio di Cristina Giordano si rivela però anche un Enzo Jannacci privato nei ricordi di suo figlio Paolo, che racconta il rapporto con il padre artista con cui ha collaborato sui palcoscenici fin da ragazzino. Scopriamo così che Paolo ha sempre chiamato suo padre con il nome di battesimo, Enzo, imparando a chiamarlo "papà" solo dopo la sua morte, perchè dice: "Ora ho solo voglia di volergli bene".


Stand: 03.06.2015, 16.00 Uhr